Il Patronato della Cgil, presente in Germania con diversi uffici,  avvia una campagna di sensibilizzazione rivolta agli italiani, che nel corso della loro carriera abbiano lavorato in suolo tedesco, affinché facciano valere i diritti acquisiti, di cui spesso non sono a conoscenza. 

E non sono pochi. Secondo una stima di Inca Cgil sono oltre quattro milioni; tantissimi di loro pur avendo raggiunto l'età pensionabile non presentano domanda di pensione.

Un fenomeno tutt’altro che marginale: Luigi Brillante, coordinatore degli uffici Inca Germania, riferisce che tra i soli assicurati italiani,  nati nel 1953, negli archivi delle casse previdenziali tedesche giacciono circa 50.000 posizioni assicurative, ma solo la metà ha presentato una domanda di pensione.

Secondo l’Inca, “tanti non sanno -  spiega Brillante - che anche se hanno lavorato in Germania per pochi mesi hanno acquisito dei diritti; alcuni pensano che nella pensione italiana siano già conteggiati anche i periodi esteri”. "Inoltre, aggiunge Brillante, chi ha un trattamento minimo riconosciuto dall’Inps pensa che non sia necessario riscattare i pochi anni di lavoro in Germania, perché l'importo della pensione estera potrebbe essere assorbito dal trattamento minimo già percepito, senza considerare che se si rinuncia alla pensione tedesca, di fatto, si regalano all’erario di questo Stato i contributi versati, poiché la quota percepita da Inps è a carico dei soli contribuenti italiani".

Altre persone sono scoraggiate perché non hanno più documenti e pensano che comunque non ne ricaveranno niente, osserva ancora Brillante, che riferisce di tante donne che non sanno neppure di aver acquisito diritti, anche  se non hanno mai lavorato in Germania, ma si sono dedicate all’educazione dei figli. Situazioni diverse tra loro che fanno ritenere fondamentale l’azione di informazione che Inca Germania ha avviato affinché i diritti ancora inespressi si trasformino in concreti riconoscimenti.

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